My So-Called Selfish Life: il nuovo documentario che rende omaggio alle donne che scelgono di non avere figli

Mentre la telecamera si ferma su un gruppo di madri che parcheggiano i loro passeggini fuori da un asilo, sentiamo in sottofondo la voce di Therese Shechter. “La maternità è un’istituzione talmente radicata nella nostra società che la diamo per scontata, come parte dell’ordine naturale della vita. È il nostro destino biologico, il culmine del nostro viaggio femminile. Fin da piccole, ci si aspetta che tutte avremo dei figli in futuro e, se non ciò non accade, siamo delle egoiste”. Scopriamo presto che Shechter segue un’altra scuola di pensiero. È infatti la regista di My So-Called Selfish Life, un documentario uscito di recente sulla scelta di una donna di non avere figli. In un momento in cui il futuro dei diritti riproduttivi in America è sotto attacco, questo tema è più puntuale che mai. Per Shechter, che ha iniziato a lavorare al progetto nel 2015, il tabù ancora esistente nei confronti delle donne che non vogliono avere figli ha un che di personale. “Ho sempre saputo di non volere figli, ma parlarne non è mai stato facile a causa dello stigma legato a questo tema”, mi dice quando la intervisto. Al fulcro del film c’è una domanda: cosa succede se respingiamo l’idea che diventare madre sia l’unico e/o il modo corretto di essere una donna? “Volevo esplorare quello stigma” spiega Shechter, “e contestare il concetto secondo cui essere madri sia un imperativo biologico”. Per farlo, Shechter ci riporta agli inizi del movimento childfree negli anni ‘70 fino al concetto di pronatalismo (la pratica di incoraggiare la riproduzione) e la crescente feticizzazione della maternità. Il film fa luce anche sulle inquietanti pratiche di eugenetica che da tempo colpiscono le donne di colore negli Stati Uniti e sulle sfide che la lotta per la giustizia riproduttiva si trova ad affrontare. Ma vengono anche sfatati dei falsi miti, come l’idea che esista un “orologio biologico” che induca le donne a fare figli. Questo concetto, infatti, non fu coniato da uno scienziato ma da un giornalista uomo, Richard Cohen, in un articolo pubblicato nel 1978 sul Washington Post. “Da sempre le donne cercano di controllare il proprio corpo e la propria fertilità, ma anche le istituzioni e i media fanno la stessa cosa” afferma Shechter. “Nonostante tutti i progressi fatti nell’ultimo secolo, continuiamo a dover affrontare questa idea secondo cui siamo degli uteri ambulanti i cui sentimenti sull’argomento non sono ritenuti affidabili. Per me era importante esaminare questo aspetto e dare alle persone degli strumenti e dello spazio per provare a guardare la nostra cultura dall’esterno e rivalutare ciò che è stato loro insegnato”. Attraverso una lente storica e testimonianze dirette, il tutto corredato da intelligenti animazioni e riferimenti alla cultura popolare, My So-Called Selfish Life trasmette un messaggio gioioso e amorevole sulla scelta e sulla forza che derivano dall’assumere il controllo della propria vita, in barba a tutte le aspettative sociali. “Sia che tu voglia dei figli (ma non puoi averli) sia che tu non li voglia, essere una donna senza figli in questo mondo è difficile” sostiene Shechter. “Il film contribuisce a cambiare questo atteggiamento”.

My So-Called Selfish Life è disponibile per proiezioni didattiche o di gruppo tramite il sito web del film Marianna Cerini è una giornalista freelance che si occupa di tendenze culturali, viaggi, moda e arte. Ha scritto per Conde Nast Traveller, The Telegraph, Time Out Beijing, Forbes e Vogue Italia